L'arte costruttiva di
Angelo Giuseppe Bertolio
Luigi Piatti
Angelo Giuseppe Bertolio nasce a Mornago nel 1934. A causa del
trasferimento della sua famiglia per motivi di lavoro, vive
l'infanzia e la giovinezza in un piccolo paese sul Lago di Garda,
Roè Volciano, nei pressi di Salò. Terminati gli studi presso l'ITIS
di Bergamo (diploma in tessitura), ritorna nel Vaserotto, a Besnate,
dove inizia un'attività artigianale.
Subito si interessa di culture primitive - dalla pittura schematica
iberica alla cantabrica, alla pittura fittile di Kanis, alla dauna e
apula, eccetera - trovando in esse, dapprima, grande aiuto per
assimilare la lezione di maestri gome Gauguin e Matisse, Picasso e
Kandinskij, Cèzanne e Mondrian, e poi stimolo e ispirazone per la
sua arte.
Dal 1970 vive e lavora a Barasso.
A
Barasso, all'inizio della impervia strada che porta alla località
"Piano", sulla destra c'è un cancello, anonimo come tanti cancelli.
Il comune passante lo ritiene l'ingresso alla solita villa nel verde
delle pendici del campo dei fiori e fa correre il pensiero al pure
solito "milanese" agiato che lì viene a godersi le meritate ore di
pace. Invece non è così; oltre quel cancello c'è "l'atelier delle
idee" di Angelo Giuseppe Bertolio e il museo dei "prodotti"
che da dette idee scaturiscono. Certamente innamorato
dell'architettura, da lui intesa come la più grande avventura
dell'uomo, Bertolio partì decenni orsono a studiare triangoli,
cerchi e quadrati, ricavandone una progettazione fatta di opere
bidimensionali su carta che si sviluppano poi in opere plastiche
tridimensionali. E' questo il suo primo periodo, caratterizzato da
titoli significativamente precisi: Architettura di un cerchio, di un
triangolo, di un quadrato, eccetera. L'arcaismo greco, che significa
essenzialità delle forme, spiritualizzazione dell'immagine, luce,
spazio sono gli argomenti costanti che il Nostro persegue in opere
sempre modulari, a significare la presenza - e il valore - della
progettazione che sempre sottintende la valenza urbana.
Dice, infatti, Bertolio: "Nel mio caso, l'arte è stata legata alla
spiritualizzazione, all'idealizzazione e al realismo. Per quanto
riguarda le opere plastiche, queste sono nate appunto sulla scia
della spiritualità antica, dove la riduzione della forma porta al
loro carattere essenziale. Tecnicamente sono opere in metacrilato
acromo dove il ritmo è ottenuto dal filtraggio dello spazio fra una
lastra e l'altra, la luce è riflessa sui bordi delle lastre e
l'essenzialità da le forme geometriche stesse".
L'evoluzione dei risultati porta poi Bertolio, ricercatore tenace e
acuto, a ragionare sul processo di trasformazione della forma, a
cercare, cioè, di capire come una cosa si trasforma in un'altra. Un
discorso a rovescio rispetto alla situazione precedente. L'artista
parte, infatti, dalla tridimensione per ottenere in bidimensione un
numero illimitato di forme archetipe, elaborando le quali ottiene
nuove forme iconografiche. Siamo, dunque, all'uso concettuale del
"modulo" intercambiabile, che l'artista gestisce con arte per
esprimere i suoi stati d'animo del momento, in un'estasi spirituale
che sempre ha il fondamento dell'antico.
Architettura di un quadrato. Razionale Irrazionale Essenziale sono i
titoli delle opere di questo periodo. Ne scrive nel 1981 Alberto
Sartoris, sostenendo che "Angelo Giuseppe Bertolio" è uno dei
maggiori protagonisti del necessario riesame positivo, concettuale e
progettuale, di quella fervida stagione creatrice del movimento
dinamico e della statica viva che ha prodotto il futurismo e il
costruttivismo, missione che egli assume e compie con un impegno
autentico veramente esemplare"; asserendo poi nella chiusa del testo
che "una distribuzione murale di forme incisive a incroci lineari,
angolari e ortogonali che ne sistemano il moto pianificatore,
conferisce alla pittura scolpita e architettata di Angelo Giuseppe
Bertolio la cadenza persuasiva di un canto geometrico e di un
linguaggio spaziale, le cui sequenze definiscono le visioni mature,
le formalizzazioni ritmate e le sontuosità armoniche del suo ardito
e inconsueto dinamismo plastico".
Ho detto prima che Bertolio è un ricercatore tenace e acuto e che
dietro quel cancello vive il suo "atelier delle idee". Il Nostro,
infatti, non può accontentarsi di ciò che ha raggiunto: non è nella
sua natura. Esplode dunque in lui la voglia del ricordo. Anzi, più
che una voglia è l'esigenza di ricordare e di - interpretare la
nostra storia occidentale, quella greca e soprattutto quella
medioevale.
Siamo verso la metà degli anni ottanta e pare a Bertolio che la
crisi dei valori in atto debba essere contrastata con un Simbolismo
costruttivo che faccia riflettere in nome di una civiltà nostra che
non va dimenticata. E' soltanto una breve parentesi di un lustro che
produce opere. Poi c'è il ritorno verso il Costruttivismo. Ma non è
un ripensamento. In effetti, se in Architettura di un cerchio,
eccetera, e in Razionale Irrazionale Essenziale il riferimento
all'architettura è volutamente evidente, ora è preminente, in forma
orginale personale, il concetto basato sulla purezza di linee e di
spazi sostenuti da colori primari. E' sempre il "modulo" il grande
protagonista; viene però elaborato - cioè tagliato e ricomposto - al
fine di ottenere collages che possono essere definiti, senza tema di
smentita, l'espressione di uno stile che fa dell'ordine e della
purezza i componenti fondamentali.
Da qualche anno, esattamente dal 1999, Angelo Giuseppe Bertolio
aderisce al movimento internazionale Madì. E' un'altra avventura
dello spirito che l'artista affronta con la convinzione delle
proprie idee. Non ha da mettere in discussione un passato, anzi, è
il momento di riproporlo con più energia, con dinamismo. Madì,
infatti, libera l'artista "dalla costrizione della dimensione
ortogonale": la schiavitù del "rettangolo" è finita; il movimento
deve sostituire l'immobilità. Scrive tra l'altro Carmelo Arden Quin
nel 2002: "Madì è sempre all'inizio del nuovo. E' in una rivoluzione
permanente di creazione plastica. Madì ha la sua 'costante'. Questa
costante è la poligonalità al di là dei quattro angoli. (...) Madì è
Lucidità e Pluralità. Una presenza continua di semplice bellezza.
Madì costruisce in continuazione il futuro. E ciò contro tutti gli
opportunismi e le compromissioni di ogni genere". Niente di meglio
per un Bertolio indifferente alle sirene del mercato, libero
pensatore sempre, sulla scia di Orfeo, di Talete e di Pitagora,
produttore instancabile e convinto di un'arte "difficile" per gli
impreparati che non sanno che l'arte è creazione, cioè luce
dell'intelletto. Insomma: un'eccezionale visione poetica che si
gusta sì con gli occhi, ma soprattutto con lo spirito; e che invia
al Piano, a Barasso, è a disposizione di chiunque voglia valicare
quel cancello, anonimo come tanti cancelli, che conduce in una
nuova, e perciò diversa, dimensione dell'essere.
Molti critici si sono interessati all'arte di Giuseppe Bertolio.
Eccone un elenco abbastanza esaustivo: Gillo Dorfles, Gianfranco
Maffina, Umbro Apollonio, Franco Passoni, Silvano Carpi, Bruno
D'Amore, Luciano Caramel, Mario Radice, Luca Vinca Masini, Renzo
Marchelli, Alberto Sartoris, Giorgio Segato, Luigi Zanzi, Silvana
Colombo, Fabrizia Buzio Negri, Bruno Munari, Luigi Piatti, Giorgio
di Genova, Ettore Ceriani, Michele De Luca, Giuseppe Strazzi.
Luigi Piatti